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al testo di Diego Bello
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Mi è amico il ramarro, fedele nell’ozio di sole sul greppo, che inquieto si torce a bugna di calce in cumulo a nervi d’oblio. S’inerpica fermo appeso al fioretto dell’orto e cuoce trafitto nell’occhio, da spina di seccia. L’insidia si cela nell’erba dell’ombra, in anfratti attende la biscia e al cielo pulito si fissa ne mima il respiro e il colore, ingolla sostanza di ruggine e miele: un bacio feroce s’incanta di brivido, beve. L’ardore è dipinto sul gozzo e il morso disvela l’errore, ridesta dal sonno un labbro d’autunno. Il muso del sauro protende deciso alla serpe che cova nel buio: si sfalda in mano la rosa con l’indaco e l’oro del drappo. Come il sole - statua che scalda lontano - lui pesca nell’animo umano sua esca una spugna su tutto sul tempo che cessa poi l’amo trapassa la gola del mostro, conquista la quiete perenne d’impulso e vive in un guizzo. |
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